UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLE VOCAZIONI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Vestire gli igniudi

Rubrica a cura di Cristiano Passoni. Vestire gli ignudi  Nudità e origini La nudità ha a che fare con le origini. È dai tempi di Adamo, dunque, da sempre, che l’uomo fa i conti con il proprio limite. E se è inevitabile farli, d’altra parte, non è sempre agevole. Anzi, talora, risulta persino indigesto. In […]
1 Agosto 2016

Rubrica a cura di Cristiano Passoni.

Vestire gli ignudi 

Nudità e origini

La nudità ha a che fare con le origini. È dai tempi di Adamo, dunque, da sempre, che l’uomo fa i conti con il proprio limite. E se è inevitabile farli, d’altra parte, non è sempre agevole. Anzi, talora, risulta persino indigesto. In ogni caso, come si comprende dal libro della Genesi, è insopportabile farli senza Dio. Così, infatti, è accaduto al primo uomo. Dopo il peccato, che, nell’ illusione del serpente antico, avrebbe dovuto restituire sguardi di libertà, i suoi occhi si aprono su una realtà divenuta sorprendentemente insopportabile: precisamente la propria nudità. Alla fine del secondo racconto della creazione, è il narratore biblico ad osservare che «tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, e non provavano vergogna» (Gen 2,25). Ma, dopo la caduta, è Dio stesso che interviene a mitigare la vergogna dell’uomo: «Il Signore Dio fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì» (Gen 3, 21). Nulla cambia, dunque, circa la materialità dell’uomo, la sua stessa consistenza -vale a dire, la propria nudità-, ma incomparabile è la percezione che ne consegue e, parimenti, la nuova relazionalità che ne scaturisce con la propria moglie. Se prima della caduta la nudità non faceva alcun problema, dopo diviene una realtà di cui ci si vergogna e nei confronti della quale si impone la necessità di un pietoso ristabilimento della dignità perduta.

Uno straordinario tempo di semina

Tuttavia, vi sono dei frutti straordinari. «I risultati migliori del nostro lavoro educativo sono quelli che non vediamo. Il periodo di permanenza in Comunità è il tempo della semina. È necessario avere tanta speranza e sguardo lungimirante nell’ investire quotidianamente in un servizio che spesso mostra solo l’apparente aggravarsi del disagio, piuttosto che la staticità di una situazione che non si smuove, nella resistenza a cambiare.